Manifesto di Julian Rosefeldt: la recensione

Esperimento che attraversa il tempo

Diretto da Julian Rosefeldt, Manifesto è un esperimento nel quale troviamo una Blachett trasformista e versatile. Un film che è apprezzabile pur prendendosi qualche rischio, ovvero diventare una complessa sequela di monologhi in cui si può facilmente perdere il filo.

Film che passa dal manifesto dadaista a quello comunista, dal futurismo al situazionismo con estrema facilità, Manifesto è il classico prodotto che confonde se il tentativo dello spettatore è quello di raggruppare le fila, soffermandosi sull’analisi del contesto (in cui viene recitato il monologo) e del personaggio (che sfonda la quarta parete con vigore e violenza). Difatti è praticamente impossibile riconoscere ogni declamazione ed è altrettanto difficile stare dietro al ritmo che il regista/artista imprime alla pellicola. Tredici sono i personaggi che Cate Blanchett interpreta e modella sulla sua recitazione, molti di più sono i manifesti che sono stati alla base di rivoluzioni culturali, sociali, artistiche e politiche.

Infatti l’intento di Rosefeldt è quello di provare a tastare la loro potenza (declamatoria) e il loro impatto sullo spettatore. Il regista si pone delle domande: quanto sono anacronistici o attuali i pensieri di uomini del passato (recente e remoto)? Che conseguenze possono suscitare sull’uomo contemporaneo? Da questo momento il film fluisce attraverso le parole della Blanchett, che impersona (quasi) sempre un personaggio che può (potenzialmente) spiazzare il contesto, non mettendo a proprio agio il pubblico.

E allora ecco che c’è il mendicante alle prese con il manifesto suprematista e l’insegnante elementare con il Dogma 95 di Von Trier. Il risultato finale è interessante e dona al pubblico un quadro ideologico variegato, nel quale si percepisce cosa può far (ancora) riflettere le folle e che cosa è ormai superato ed evoluto.

Uscita al cinema: 23 ottobre 2017

Voto: ***

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