Mademoiselle di Park Chan wook: la recensione

Torbido desiderio

Presentato in concorso a Cannes 69, Mademoiselle chiude la trilogia dell’amore proibito di Park-Chan wook (una disamina paragonabile al suo celebrato trittico dedicato alla vendetta) e per l’occasione torna in patria dopo la fugace comparsata hollywoodiana per il precedente Stoker.

Corea, 1930. Sookee, una giovane ladra, viene coinvolta nel complotto ordito dal falso conte Fujiwara ai danni dell’ereditiera Hideko. Sookee diventa la domestica personale della giovane, ma ben presto tra le due nasce una forte attrazione.

Bellissimo film caratterizzato da delle torbide ossessioni, Madesmoiselle conferma Park Chan-wook come maestro di cinema, un regista in grado di appassionare e coinvolgere lo spettatore attraverso una tensione drammatica che inchioda al sedile e una tensione erotica che, evitando di sfociare nell’esplicito e nel pornografico, riesce a essere un elegante accompagnamento alla vicenda.

Contraddistinto da un linguaggio cinematografico sinuoso (la macchina da presa danza letteralmente), il film di Park Chan-wook evidenzia delle influenze vittoriane, che determinano l’ispirazione occidentale della vicenda; un doppio-triplo gioco che si svela e si nasconde con soluzione di continuità. Difatti essendo diviso in tre capitoli (che mostrano altrettanti punti di vista), Mademoiselle dissemina indizi con lodevole parsimonia, quasi a voler coinvolgere lentamente lo spettatore, per non precludergli lo svelamento e la sorpresa.

Film che inneggia alla libertà sessuale, laddove il desiderio si specchia negli occhi dell’altra, Mademoiselle è cinema d’alto livello; un prodotto contraddistinto da un’eleganza formale, che ammalia e coinvolge grazie a una struttura narrativa a “scatole cinesi”. L’immancabile vendetta si staglia sullo schermo e sfocia in una tortura (fisica e mentale) che vede l’uomo soccombere e la donna trionfante, soprattutto grazie all’ostentazione di alcune sequenze chiave (la distruzione di tutti quei simboli della cultura orientale che etichettano la donna come schiava sottomessa), che determinano la posizione assunta dal regista nei confronti del “gentil sesso”.

Pellicola nella quale la donna scopre la propria dimensione e la propria libertà, Mademoiselle mostra una sessualità che si fa largo con le parole, una morbosità che si esplica attraverso il dolore, un desiderio che si racchiude nella scoperta del proprio corpo e una perversione che si traduce in immagini. Park Chan-wook si conferma un regista di spessore in grado di realizzare pellicole in serie (l’atmosfera che si respira è molto simile in tutte le sue opere) senza mai risultare banale e prevedibile; un enorme pregio che merita solamente applausi.

Uscita al cinema: 29 agosto 2019

Voto: ****

2 pensieri su “Mademoiselle di Park Chan wook: la recensione

  1. Bella recensione! Anche a me è piaciuto questo film, ma forse l’ho trovato un po’ compiaciuto… E una ventina di minuti troppo lungo! Però bello e girato divinamente!

    • Tremendamente sottovalutato. Un film dalla tecnica registica sublime nel quale ogni punto di vista è curato alla perfezione…Park Chan Wook non delude nemmeno stavolta!

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