Un mortale passo a due
Un’ouverture e due atti. Il pianeta Melancholia sta concludendo la sua corsa sulla Terra, inglobandola e distruggendola. Ha oltrepassato Venere, ha sfiorato Mercurio e si avvicina pericolosamente al globo terrestre. Il tutto è accompagnato da due parti, dedicate alle sorelle Justine e Claire. Nella prima Justine si è sposata, ma viene invasa da una depressione fulminante, un senso di vuoto che non gli permette di muoversi e di andare avanti, un pessimismo cosmico travolgente. Nella seconda parte Claire viene incontro alla malattia della sorella e la invita a casa sua per aiutarla. Nel contempo Melancholia si avvicina e cancella la vita sulla Terra.
Von Trier apre la pellicola con una serie di tableaux vivant in slow motion, lucidi, cangianti e simbolici. Il regista danese si avvicina alla realizzazione di dieci minuti di opera d’arte pittorica, un inizio che anticipa la conclusione, accompagnato dall’appassionante componimento wagneriano “Tristano e Isotta”. Il macabro passo a due dei pianeti è costantemente ostentato, è sottolineato da un ritmo danzante e attento al più piccolo dei dettagli, una lenta e ineluttabile danza della morte.
Von Trier ha sempre sublimato nelle sue pellicole il suo stato d’animo e Melancholia (2011) non fa eccezione. Difatti, nella confusionaria prima parte, il regista prende in prestito il corpo e la recitazione di Kirsten Dunst per esprimere la sua condizione di uomo depresso e circondato da convenzioni sociali insostenibili. Solo che in questa porzione i cliché matrimoniali prendono il sopravvento; il lento scivolare nel baratro della giovane sposa è reso alla perfezione da un’ottima interpretazione della Dunst (alter ego trieriano, non solo in questo atto), ma il microcosmo che gli gira intorno è convenzionale, un concentrato di macchiette al di sopra delle righe, costrette a sopravvivere e a sorridere. Il confronto è sicuramente accentuato da una steadycam impazzita, imperfetta e traballante, simbolo di una confusione e di un disordine estremizzato, che però si incastra in primi piani forzati e in sequenze banalizzate.
Invece la seconda parte del film è un capolavoro dell’attesa, con al centro un’intensa Charlotte Gainsbourg, personaggio spaventato, a tratti ridicolizzato e in netta contrapposizione con la figura della sorella. In questa sezione di pellicola la fotografia si accende, è una pennellata artistica e lo stile registico si fa più controllato, rigoroso e formale. Inoltre il regista rallenta il ritmo, senza però perdere in attenzione e in coinvolgimento. Emblematiche alcune battute di Justine come ad esempio: “la vita sulla Terra è corrotta” e “nessuno piangerà la fine del mondo”, che rappresentano il modus vivendi del regista danese.
Melancholia è spietato e incarna alla perfezione la dimensione di Von Trier, che perde la bussola nel primo atto, ma recupera alla grande nel secondo. L’estremo nichilismo di cui è intrisa questa pellicola non è del tutto condivisibile (la visione della vita di Von Trier non accenna minimamente alla salvezza), ma all’autore danese questo non importa. Dopotutto la risposta ai detrattori è impressa sulle sue nocche: Fuck!
Uscita al cinema: 21 ottobre 2011
Voto: ***1/2